Articoli sulla recitazione

Una “rabbia” prêt-à-porter

Una "rabbia" prêt-à-porter

È consuetudine notare come nei corsi di recitazione, specialmente all’inizio, gli allievi attori trovino molto più facile esprimere l’emozione della rabbia rispetto alla tristezza o alla felicità.

Tutto ciò è strano se pensiamo che la felicità è la naturale predisposizione dell’essere umano. L’essere umano nasce per essere felice.
La rabbia viene sostanzialmente dal rifiuto di accettare qualcosa. Naturalmente all’interno della rabbia troviamo un ventaglio piuttosto ampio di sfumature: si va dalla semplice noia o frustrazione all’ira vera e propria.

Durante il training notiamo che per l’allievo è più facile arrabbiarsi. Ma fermiamoci un attimo a riflettere: questa “rabbia” è sempre autentica? Ecco il vero punto.

Forse, la rabbia che emerge così rapidamente nelle nostre improvvisazioni è un modo per nascondere, anche inconsapevolmente, ciò che sentiamo davvero.Non sarà, per caso, che la rabbia che così facilmente troviamo nelle nostre improvvisazioni sia un modo per nascondere (inconsapevolmente, per abitudine) quello che veramente sentiamo? Non sarebbe più opportuno, prima di lasciarci andare a una rabbia “riparatrice” chiederci come la situazione ci sta facendo sentire VERAMENTE. Davvero non c’è altro che possiamo ascoltare di noi? Davvero non ci sono alternative?
Pensiamoci, ma soprattutto notiamo quanto sia artisticamente poco interessante, in scena, sbattere gli oggetti o lanciarli dappertutto disperdendo così un’energia che potremmo orientare verso l’altro. Prima di spintonare il compagno, proviamo a dirgli ciò che VERAMENTE sentiamo e andare insieme in profondità proprio partendo da lì.

Quando la rabbia non è autentica è una manifestazione che ci viene in soccorso per nascondere ciò che veramente sentiamo dunque. Il fatto che ci risulti così accessibile è dovuto proprio al training opposto che la realtà quotidiana ci propone, a tutte le fasce dì età, perché contribuisce a fornirci strumenti per nascondere ciò che sentiamo davvero. Lo facciamo per paura delle conseguenze. Già, le conseguenze.

Sandy Meisner, uno dei maestri più importanti del ‘900, sosteneva che “La società ci spinge a chiuderci, a reprimere le nostre vulnerabilità. Al giorno d’oggi la tendenza è quella di seguire il proprio istinto solo quando è socialmente accettabile. Abbiamo paura di essere etichettati come incivili perché qualcosa ci piace oppure no“.

È più facile nascondere che mostrare, perché? Perché stare con quello che sentiamo ci espone, ci fa apparire fragili.
Come una spugna assorbe l’acqua, predisponiamoci ad “assorbire” l’altro. Per farlo c’è una sola strada, senza scorciatoie: abbracciare la nostra fragilità. Diventiamo bersaglio, apriamoci, e scopriamo la vera forza che nasce dall’essere autenticamente vulnerabili. Potremmo sorprenderci di quello che siamo in grado di fare.

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